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Novità per la cessione di immobili che hanno beneficiato del Superbonus e calcolo delle plusvalenze immobiliari.
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Plusvalenze immobiliari post Superbonus: cosa cambia nel 2024

Nel panorama delle normative fiscali italiane, la legge di bilancio 2024 (legge 30 dicembre 2023, n. 213) interviene sulla disciplina fiscale delle plusvalenze sulla cessione di immobili che hanno beneficiato del Superbonus. Questi cambiamenti influenzano direttamente il calcolo delle plusvalenze immobiliari derivanti dalla vendita.

Vediamo insieme cosa comportano queste nuove disposizioni e come impatteranno sul mercato immobiliare.

Modifiche alla disciplina delle plusvalenze immobiliari

L’articolo 1, commi da 64 a 67, della legge di bilancio 2024, modifica gli art. 67 (relativo a «Redditi diversi») e 68 (relativo a «Plusvalenze») del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir), introducendo una nuova tipologia di plusvalenza imponibile.

Questa nuova normativa riguarda le plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili, «poste in essere a decorrere dal 1° gennaio 2024», che hanno usufruito degli interventi agevolati previsti dall’articolo 119 del Dl n. 34/2020, conosciuto come Superbonus, e conclusi da non più di dieci anni all’atto della cessione.

Ambito di applicazione

La nuova disposizione si applica a tutte le tipologie di immobili che hanno beneficiato del Superbonus, indipendentemente da chi abbia effettuato gli interventi agevolati (proprietario, conduttore, comodatario…). È sufficiente che gli interventi siano stati realizzati anche solo sulle parti comuni dell’edificio in cui è situata l’unità immobiliare ceduta. Questo significa che sia gli interventi trainanti, ovvero quelli che beneficiano direttamente al bonus 110%, sia gli interventi trainati, quelli che accedono alle agevolazioni solo se realizzati insieme ai trainanti, rientrano nella normativa.

In dettaglio, l’ambito di applicazione comprende:

  • proprietari di immobili: i proprietari che hanno effettuato direttamente gli interventi agevolati vedranno applicarsi le nuove disposizioni sulla plusvalenza se decidono di vendere entro dieci anni dalla conclusione dei lavori;
  • conduttori e comodatari: anche se gli interventi sono stati realizzati da persone diverse dai proprietari, come affittuari (conduttori) o comodatari (coloro che utilizzano l’immobile in comodato d’uso), la vendita dell’immobile ricade sotto la nuova normativa;
  • familiari conviventi: gli interventi realizzati da familiari conviventi con il proprietario o altri aventi diritto sono anch’essi inclusi nel calcolo della plusvalenza.

La nuova ipotesi di plusvalenza, come specificato nella circolare, si applica esclusivamente alla prima vendita a titolo oneroso avvenuta entro dieci anni dalla fine dei lavori. Sono escluse eventuali vendite successive dell’immobile, tranne nei casi di interposizione previsti dall’articolo 37 del Dpr n. 600/1973.

Sono escluse dall’ambito di applicazione della norma le plusvalenze sugli immobili:

  • acquisiti per successione;
  • utilizzati come abitazione principale dal cedente o dai suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni precedenti la cessione;
  • adibiti a residenza principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo tra l’acquisto o la costruzione e la vendita,  nei casi in cui tali immobili siano stati acquistati o costruiti da meno di dieci anni al momento della vendita.

Requisiti temporali

La data di completamento degli interventi ammessi al Superbonus è considerata come il punto di partenza per il conteggio dei dieci anni. Tale data è comprovata dalle abilitazioni amministrative o dalle comunicazioni prescritte dalla normativa urbanistica e dai regolamenti edilizi in vigore.

Calcolo della plusvalenza

La legge di bilancio 2024 introduce criteri specifici per il calcolo delle plusvalenze immobiliari. La plusvalenza è data dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo d’acquisto o il costo di costruzione dell’immobile, incrementato di ogni altro costo inerente.

L’articolo 68 del Tuir stabilisce che quando la cessione avviene entro cinque anni dalla conclusione degli interventi Superbonus, le spese per tali interventi non possono essere portate ad accrescimento del costo di acquisto se:

  • l’intervento ha usufruito del Superbonus al 110%;
  • sono state esercitate le opzioni per lo sconto in fattura o per la cessione del credito d’imposta.

Se la cessione avviene dopo cinque anni, si considera il 50% delle spese sostenute per gli interventi agevolati per la determinazione dei costi inerenti all’immobile.

La plusvalenza calcolata secondo i criteri descritti può essere soggetta all’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito, prevista dall’articolo 1, comma 496, della legge n. 266/2005, con un’aliquota del 26%, seguendo le modalità specificate in tale disposizione.

Misure sulla variazione dello stato dei beni

Oltre alle modifiche sulle plusvalenze, la legge di bilancio introduce nuove misure riguardanti la variazione dello stato dei beni. L’Agenzia delle Entrate verifica, tramite liste selettive, se è stata presentata la dichiarazione di variazione catastale prevista dall’art. 1, commi 1 e 2, del DM n. 701/1994.

Se tale dichiarazione non è stata presentata, l’Agenzia delle Entrate può inviare una comunicazione al contribuente, ai sensi dell’art. 1, commi 634 a 636, della legge n. 190/2014, per sollecitare l’adempimento richiesto, incentivando così la conformità.

Implicazioni per il mercato immobiliare

Queste nuove disposizioni avranno un impatto significativo sul mercato immobiliare. I proprietari che intendono vendere immobili recentemente ristrutturati con il Superbonus dovranno considerare le nuove regole per il calcolo delle plusvalenze. Inoltre, l’obbligo di aggiornare lo stato catastale degli immobili potrebbe comportare ulteriori adempimenti burocratici.

Per chi acquista, queste normative potrebbero rappresentare una maggiore trasparenza sulla qualità e sul valore degli immobili. Tuttavia, è fondamentale essere consapevoli delle implicazioni fiscali per evitare spiacevoli sorprese al momento della vendita.

Conclusioni

Le novità introdotte dalla legge di bilancio 2024 relative alle plusvalenze immobiliari rappresentano un passo importante verso una maggiore regolamentazione del mercato immobiliare post Superbonus. È essenziale per i proprietari, acquirenti e operatori del settore rimanere aggiornati e consultare esperti fiscali per una corretta gestione delle operazioni immobiliari in conformità con le nuove normative.

Under 36: agevolazioni prima casa
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Under 36: cosa fare se hai rogitato a inizio 2024

Per agevolare l’accesso alla prima casa ai giovani under 36, il decreto legge n. 73/2021, noto come decreto “sostegni bis”, ha introdotto nuove misure fiscali per l’acquisto della prima casa. Queste agevolazioni sono valide per gli atti stipulati tra il 26 maggio 2021 e il 31 dicembre 2023, con una proroga concessa dalla legge di bilancio 2022 di sei mesi, ulteriormente estesa di un altro anno dalla legge di bilancio 2023.

Una recente legge di conversione, il decreto legge n. 215/2023 (legge n. 18/2024), in vigore dal 29 febbraio 2024, ha stabilito che le agevolazioni possono essere richieste anche per contratti preliminari di acquisto sottoscritti e registrati entro il 31 dicembre 2023, a condizione che l’atto definitivo sia stipulato entro il 31 dicembre 2024. Gli under 36 che hanno stipulato l’atto definitivo tra il 1° gennaio 2024 e la data di entrata in vigore della nuova disposizione (29 febbraio 2024) hanno diritto a un credito d’imposta utilizzabile nel 2025.

Agevolazioni fiscali e credito d’imposta per gli under 36

Le agevolazioni fiscali per gli under 36 comprendono:

  • esenzione dall’imposta di registro, ipotecaria e catastale per compravendite non soggette a IVA;
  • per gli acquisti soggetti a IVA, esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale e riconoscimento di un credito d’imposta pari all’IVA corrisposta al venditore.

Come può essere utilizzato il credito d’imposta?

  • per ridurre l’imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni relative agli atti e alle denunce presentati successivamente all’ottenimento del credito;
  • per ridurre l’imposta sui redditi delle persone fisiche dovuta in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data di acquisto agevolato;
  • in caso di importo non utilizzato secondo le modalità precedentemente indicate, è possibile compensare tramite il modello F24, specificando il codice tributo “6928” come stabilito dalla risoluzione n. 62/2021;
  • sono esenti dall’imposta sostitutiva i finanziamenti concessi per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di immobili destinati all’uso abitativo.

Beneficiari

Possono accedere ai benefici previsti i giovani che soddisfano i seguenti requisiti:

  • hanno un’età inferiore ai 36 anni al momento della stipula dell’atto;
  • il loro Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), che tiene conto dei redditi e del patrimonio posseduto, non supera i 40.000 euro all’anno.

L’ISEE viene determinato considerando i redditi e il patrimonio dell’anno precedente alla presentazione della Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) all’INPS. La DSU raccoglie informazioni anagrafiche, reddituali e patrimoniali necessarie per valutare la situazione economica del nucleo familiare.

Per gli atti stipulati nel 2022, l’ISEE tiene conto dei redditi e del patrimonio del 2020, mentre per quelli stipulati nel 2023, fa riferimento ai dati del 2021.

È importante notare che il concetto di “nucleo familiare” ai fini dell’ISEE è definito dagli individui che compongono la famiglia al momento della presentazione della DSU, salvo le eccezioni specificate nell’articolo 3 del DPCM n. 159/2013.

L’ISEE ordinario è valido a partire dal primo giorno dell’anno o, se successivo, dalla data in cui viene presentata la DSU, fino all’ultimo giorno di dicembre dello stesso anno. Qualora la situazione lavorativa, economica o patrimoniale dei membri della famiglia cambi in modo significativo rispetto a quanto dichiarato nella DSU ordinaria, è possibile richiedere l’ISEE corrente.

ISEE corrente

La richiesta dell’ISEE corrente si verifica nei seguenti casi:

  • perdita, riduzione o sospensione del lavoro;
  • interruzione dei benefici previdenziali, assistenziali o indennitari;
  • una diminuzione del reddito familiare complessivo superiore al 25% rispetto all’ISEE ordinario;
  • una diminuzione della situazione patrimoniale superiore al 20% rispetto all’ISEE ordinario.

L’ISEE corrente, a differenza di quello ordinario, ha una validità ridotta nel caso di variazione solo del reddito familiare (sei mesi dalla presentazione della DSU sostitutiva). Se solo la situazione patrimoniale viene aggiornata, o entrambe le componenti reddito e patrimonio, l’ISEE corrente è valido fino alla fine dell’anno in cui viene presentata la DSU sostitutiva. In ogni caso, se ci sono cambiamenti nell’occupazione o nei benefici ricevuti, l’ISEE corrente deve essere aggiornato entro due mesi dalla variazione.

Come spiegato nella circolare numero 12 del 2021 dell’Agenzia delle Entrate, l’ISEE è rilevante anche per le transazioni di acquisto soggette all’IVA.

I requisiti menzionati precedentemente si aggiungono a quelli già stabiliti per poter beneficiare delle agevolazioni “prima casa”. In breve, l’acquirente deve:

  • trasferire o stabilire la propria residenza nel Comune in cui si trova l’immobile entro 18 mesi dall’acquisto;
  • dichiarare nell’atto di acquisto di non essere proprietario, nemmeno in comunione con il coniuge, di altri diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di un’altra residenza nel territorio del Comune in cui si trova l’immobile da acquistare;
  • dichiarare nell’atto di acquisto di non possedere, nemmeno in parte o in regime di comunione legale, alcun diritto di proprietà, usufrutto, uso, abitazione o nuda proprietà su un altro immobile acquistato, sia a livello nazionale che in collaborazione con il coniuge, usufruendo delle stesse agevolazioni “prima casa”. In caso contrario, l’immobile posseduto precedentemente deve essere venduto entro un anno dalla data dell’acquisto del nuovo immobile.

Requisiti oggettivi

Per quanto riguarda gli immobili e le tipologie di atti agevolabili, è essenziale fare sempre riferimento alle normative che regolano le agevolazioni per la “prima casa”.

Gli immobili idonei al beneficio includono quelli classificati o classificabili nelle seguenti categorie catastali:

  • A/2 (abitazioni civili);
  • A/3 (abitazioni economiche);
  • A/4 (abitazioni popolari);
  • A/5 (abitazioni ultra popolari);
  • A/6 (abitazioni rurali);
  • A/7 (abitazioni in villini);
  • A/11 (abitazioni e alloggi tipici del luogo).

I vantaggi si estendono anche all’acquisto delle pertinenze dell’abitazione principale, ossia ai beni accessori o complementari, classificate o classificabili nelle categorie catastali:

  • C/2 (magazzini e locali di deposito);
  • C/6 (ad esempio, rimesse e autorimesse);
  • C/7 (tettoie chiuse o aperte).

In questi casi, una sola unità per categoria è destinata al servizio dell’abitazione oggetto dell’acquisto agevolato. L’acquisto delle pertinenze può avvenire contestualmente a quello dell’abitazione principale o separatamente, purché entro il periodo di validità dell’agevolazione e rispettando i requisiti soggettivi stabiliti. Le agevolazioni non si applicano all’acquisto di abitazioni classificate come A/1 (abitazioni signorili), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli e palazzi di pregio storico e artistico).

Per quanto riguarda gli atti agevolabili, i benefici fiscali si estendono a tutti gli atti che comportano il trasferimento a titolo oneroso della proprietà (o quota di comproprietà) o il trasferimento o la costituzione di diritti reali di godimento (nuda proprietà, usufrutto, uso, abitazione) delle abitazioni sopra menzionate. Le agevolazioni non si applicano ai contratti preliminari di compravendita, ma è possibile richiedere il rimborso dell’imposta proporzionale versata per acconti e caparra al momento della stipula del contratto definitivo soggetto all’agevolazione. Gli immobili acquistati all’asta sono, invece, ammissibili alle agevolazioni.

Assenza dei requisiti e decadenza agevolazioni

La normativa che ha introdotto le agevolazioni ha anche previsto le conseguenze nel caso in cui le condizioni e i requisiti per beneficiarne risultino inesistenti o decadano. In particolare, si prevede il recupero delle imposte dovute, l’applicazione degli interessi e l’imposizione di sanzioni, seguendo le disposizioni per i casi di decadenza dalle agevolazioni per la prima casa.

Secondo la circolare n. 12/2021 dell’Agenzia delle Entrate, se viene constatata solo l’inesistenza dei requisiti specificamente previsti per le agevolazioni “prima casa under 36”, ma sono soddisfatti i requisiti e le condizioni per l’applicazione dell’agevolazione “prima casa”:

  • per gli atti soggetti a imposta di registro, viene recuperata l’imposta (2%) e le imposte ipotecaria e catastale sono fissate a 50 euro ciascuna;
  • per gli acquisti soggetti a IVA, viene revocato il credito d’imposta con conseguente recupero dello stesso (oltre all’applicazione di sanzioni e interessi), se già utilizzato.

Resta comunque in vigore l’applicazione dell’IVA al 4% nel caso di decadenza dalle agevolazioni per la prima casa, che avviene in presenza di:

  • dichiarazione mendace riguardante i requisiti all’atto di acquisto;
  • mancato trasferimento della residenza nei tempi stabiliti;
  • vendita entro cinque anni senza successivo riacquisto entro l’anno;
  • mancata vendita della precedente “prima casa” entro l’anno dall’acquisto della nuova.

Venendo meno i presupposti per godere delle agevolazioni “prima casa under 36”, l’imposta di registro è fissata al 9%, mentre le imposte ipotecaria e catastale sono fissate a 50 euro ciascuna. Vengono inoltre applicati interessi e sanzioni, e il credito d’imposta viene revocato (con il suo recupero e l’applicazione di sanzioni e interessi), insieme alle conseguenze relative all’IVA per la decadenza dalle agevolazioni “prima casa” (come specificato nella Tabella A, parte II, allegata al DPR n. 633/1972, punto 21).

Guida affitti brevi
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Affitti brevi: guida completa per proprietari e inquilini

Gli affitti brevi, una pratica sempre più diffusa nel panorama immobiliare contemporaneo, rappresentano una soluzione flessibile sia per chi offre l’alloggio che per chi lo cerca.
Esaminiamo insieme tutto quello che c’è da conoscere su questa tipologia di locazione.

Cos’è un affitto breve?

Gli affitti brevi rappresentano una specifica categoria di locazione delineata dall’articolo 4 del decreto legge 50/2017, caratterizzata da contratti di durata non superiore a 30 giorni, comprensivi di servizi come la fornitura di biancheria, la pulizia dei locali, la connessione a Internet e l’utilizzo del telefono.

Questi contratti coinvolgono persone fisiche, sia direttamente sia tramite intermediari immobiliari o portali telematici, non devono costituire attività d’impresa.

Tuttavia, recenti eventi hanno evidenziato come gli affitti brevi possano diventare una fucina per l’evasione fiscale. Per tale motivo è cruciale introdurre disposizioni, cogliendo l’occasione per migliorare la protezione dei consumatori, garantire la sicurezza delle unità locative e promuovere la trasparenza nelle offerte contrattuali.
Queste misure potrebbero favorire una crescita sostenibile del settore, mitigando i rischi associati agli affitti brevi e promuovendo un ambiente più equo e sicuro per tutti gli attori coinvolti.

Caratteristiche

Per garantire che un appartamento sia adatto per locazioni brevi, è essenziale considerare una serie di caratteristiche specifiche. Ecco una guida dettagliata:

  • destinazione dell’immobile: l’immobile deve essere classificato come residenziale e non commerciale, secondo le categorie catastali che vanno da A1 ad A11 (ad esclusione della categoria A10, riservata agli uffici e studi privati);
  • standard tecnici minimi: le specifiche tecniche possono variare da regione a regione, ma ci sono standard comuni che devono essere rispettati per garantire la salubrità degli ambienti. Gli spazi devono avere soffitti di altezza non inferiore ai 2.70 metri, garantendo una sensazione di ampiezza e comfort. Inoltre, la superficie minima dell’immobile deve essere di almeno 38 mq per ospitare due persone e di 28 mq per una sola persona;
  • separazione degli ambienti: è importante che la camera da letto sia separata dalla zona soggiorno, che può includere un angolo cottura. Questo assicura privacy e comfort agli ospiti durante il loro soggiorno;
  • presenza di finestre: tutti gli ambienti devono essere dotati di finestre per garantire una corretta ventilazione e illuminazione naturale. Questo è fondamentale per la salute e il benessere degli inquilini.

Oltre alle caratteristiche fisiche dell’immobile, è importante considerare anche gli elementi distintivi degli affitti brevi:

  • durata contrattuale: la locazione breve deve avere una durata uguale o inferiore a 30 giorni per ogni singola pattuizione contrattuale. Questo limite temporale è fondamentale per definire l’affitto come breve;
  • soggettività del locatore: il proprietario dell’immobile deve essere una persona fisica che non possiede più di quattro immobili destinati alla locazione breve. Questa disposizione mira a mantenere l’attività al di fuori della sfera imprenditoriale;
  • modalità per la locazione: il locatore può agire direttamente o tramite intermediari immobiliari o piattaforme telematiche specializzate. Questo offre flessibilità nella gestione degli affitti brevi e facilita l’incontro tra domanda e offerta;
  • servizi accessori: è possibile offrire servizi aggiuntivi come la pulizia dei locali e la fornitura di biancheria. Questi servizi possono arricchire l’esperienza degli ospiti e contribuire a differenziare l’offerta sul mercato.

Adempimenti fiscali

L’affitto breve di immobili è soggetto a specifici adempimenti fiscali che i proprietari devono tenere in considerazione.

Una delle opzioni principali è l’adesione al regime della cedolare secca, introdotto dal D.L. 50/2017, che prevede un’aliquota fissa del 21% sulla rendita da locazione. Questo regime agevola i proprietari, sostituendo l’IRPEF e le relative addizionali e esentando dal pagamento di bollo e imposte di registro se il contratto viene registrato, pur non essendo obbligatorio (si vedano le novità della legge di Bilancio 2024 in seguito).

Tuttavia, se il locatore non opta per la cedolare secca, i redditi derivanti dall’affitto breve saranno soggetti a tassazione ordinaria con aliquote proporzionali. È importante notare che il proprietario è tenuto a richiedere la tassa di soggiorno all’inquilino transitorio e rilasciare una quietanza di pagamento al momento del saldo.

Comunicazioni telematiche

Secondo il Decreto Legislativo n. 145 del 18/10/2023, convertito con modifiche dalla Legge n. 191 del 15/12/2023 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in data 18/10/2023, coloro che affittano unità immobiliari per scopi abitativi attraverso contratti di locazione breve dovranno fornire, tramite una procedura online, i dati catastali dell’immobile in affitto e dimostrare di possedere i requisiti richiesti dall’articolo 7 del Decreto. Questi requisiti includono l’installazione di dispositivi per il rilevamento di gas combustibili e monossido di carbonio funzionanti, nonché di estintori portatili conformi alla legge, posizionati in luoghi accessibili e visibili, specialmente vicino agli ingressi e alle zone di maggior rischio, con almeno un estintore per piano o ogni 200 metri quadrati di pavimento, o frazione di esso.

Ma la partita IVA serve per fare affitti brevi?

No, non è necessario aprire una partita IVA per affitti brevi, a meno che non si configuri un’attività imprenditoriale con più immobili adibiti a ricezione turistica, caso in cui potrebbe essere obbligatoria e oltretutto più conveniente.

Per comprendere le proprie obbligazioni fiscali, è consigliabile consultare il proprio Comune di residenza o la Regione, poiché le normative possono variare a livello territoriale.

Novità dalla legge di Bilancio 2024

La legge di Bilancio 2024 (articolo 1, comma 63, L. 30 dicembre 2023 n. 213) presenta un cambiamento significativo relativo alla tassazione sugli immobili locati.
In particolare, l’aliquota fiscale del 21% verrà mantenuta solo per il primo immobile dichiarato dal locatore, mentre per eventuali ulteriori proprietà (dalla seconda alla quarta) destinate agli affitti brevi l’aliquota sarà aumentata al 26%. Ai fini della propria dichiarazione dei redditi, Il locatore è tenuto a identificare correttamente il primo immobile nella propria dichiarazione dei redditi.

Il CIN

Il Ministero del Turismo, che sta operando per dare attuazione a tale normativa, avrà il compito di attribuire un Codice Identificativo Nazionale (CIN) unico per ciascuna unità immobiliare. Tale codice dovrà essere visibile all’esterno dell’edificio in cui si trova l’appartamento o la struttura destinata alla locazione breve, nel pieno rispetto delle normative urbanistiche e paesaggistiche vigenti. Inoltre, il codice dovrà essere sempre menzionato negli annunci di locazione, sia dai locatori privati che dagli intermediari immobiliari o gestori di portali online che agiscono per conto dei locatori.

Sanzioni

Il sistema di sanzioni è abbastanza robusto e prevede multe pecuniarie:

  • per coloro che offrono in affitto breve un immobile privo di CIN, le multe vanno da 800 a 8.000 euro;
  • chi omette di indicare il CIN negli annunci di affitto può ricevere multe da 500 a 5.000 euro, con la sanzione immediata della rimozione dell’annuncio irregolare;
  • gli immobili proposti in locazione senza i requisiti di sicurezza previsti dall’articolo 7 possono incorrere in multe da 600 a 6.000 euro per unità;
  • gli imprenditori che avviano attività senza aver richiesto la SCIA possono essere multati da 2.000 a 10.000 euro.

Il Decreto contempla anche disposizioni specifiche per i comuni e/o le regioni che già hanno introdotto una normativa per l’assegnazione di codici identificativi agli immobili o alle strutture destinate agli affitti brevi.

Queste disposizioni entreranno in vigore a partire dal sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’avviso che attesta il pieno funzionamento della banca dati nazionale e del portale telematico del Ministero del Turismo per l’assegnazione del CIN.

Decreto salva conti 2024
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Benefici fiscali e bonus edilizi: cosa cambia per i proprietari

Entrato in vigore dal 30 marzo 2024, il decreto legge n. 39/2024 o “decreto salva conti“, getta le basi per importanti cambiamenti per chi intende ristrutturare o apportare miglioramenti al proprio immobile. Le nuove disposizioni, in particolare negli articoli 3 e 4, riguardano la trasmissione dei dati sulle spese agevolabili e l’utilizzo dei crediti relativi ai bonus edilizi.

Trasmissione dei dati sulle spese agevolabili

Con l’articolo 3 si amplia il registro di informazioni relative alle spese sostenute o previste e alle percentuali di detrazione applicate sia per miglioramenti energetici che interventi antisismici.
Inoltre, si intuisce un sistema di sanzioni per la mancata trasmissione di tali dati, specialmente se si riferiscono a lavori già avviati. Per quanto riguarda i nuovi interventi, invece, si prevede la perdita dei benefici fiscali.

Secondo quanto stabilito dal comma 1 e 2, coloro che affrontano spese per interventi di efficientamento energetico (art. 119 c.3 Dl n. 34/2020), devono inviare all’Enea, in aggiunta alle informazioni già richieste al termine dei lavori (art.16, c. 2-bis Dl n. 63/2013), i dettagli relativi agli interventi agevolati, includendo:

  • I dati catastali dell’immobile coinvolto;
  • Le spese sostenute nel 2024 fino alla data di entrata in vigore del decreto n. 39/2024;
  • Le spese previste per gli anni 2024 e 2025;
  • Le percentuali delle detrazioni applicabili.

Il comma 2, invece, impone la trasmissione obbligatoria al “Portale nazionale delle classificazioni sismiche” già durante la fase di asseverazione, riguardante le spese antisismiche agevolabili:

  • I dati catastali dell’immobile coinvolto;
  • Le spese sostenute nel 2024 fino alla data di entrata in vigore del presente decreto;
  • Le spese previste per gli anni 2024 e 2025;
  • Le percentuali delle detrazioni applicabili.

Chi deve effettuare la trasmissione di questi dati e relative variazioni? Secondo il comma 3 i soggetti tenuti a farlo sono coloro che:

  • Entro il 31 dicembre 2023 hanno presentato una comunicazione di inizio lavori asserverata o l’istanza per il titolo abilitativo per la demolizione e la ricostruzione degli edifici, e non hanno ancora completato i lavori;
  • Presentano la comunicazione di inizio lavori asserverata o l’istanza per il titolo abilitativo a partire dal 1° gennaio 2024.

Il comma 4 stabilisce che i dettagli, le modalità e i tempi di tali comunicazioni saranno definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro il 29 maggio 2024.

Il comma 5 prevede che la mancata trasmissione dei dati entro i termini indicati comporterà una sanzione amministrativa di 10.000 euro. Inoltre, nel caso di interventi per i quali la comunicazione di inizio lavori è asserverata o se la richiesta per ottenere l’autorizzazione per la demolizione e la ricostruzione degli edifici viene presentata a partire dal 30 marzo 2024, non ci sarà una sanzione per la mancata trasmissione dei dati, ma tale omissione comporterà la perdita dei benefici fiscali senza l’applicazione delle disposizioni sulla remissione in bonis.

Utilizzabilità dei crediti derivanti dai bonus edilizi

L’articolo 4 del decreto introduce una disposizione volta a limitare l’accesso ai bonus edilizi per coloro che hanno debiti con l’erario. Dal 1° luglio 2024, per evitare che chi ha debiti con l’erario riceva bonus edilizi, la fruizione dei crediti di imposta per i bonus edilizi sarà sospesa fino al pagamento dei debiti superiori a 10.000 euro, per i quali sia già presente iscrizione a ruolo o carichi affidati agli agenti della riscossione purché non siano in essere sospensioni o piani di rateazioni. La sospensione sarà operativa tramite la piattaforma telematica dell’Agenzia delle Entrate. Rimangono invariati i termini di utilizzo dei crediti annuali e il divieto di compensazione per debiti superiori a 100.000 euro.

Il divieto di compensazione non interviene riguardo a crediti relativi a contributi previdenziali e assicurativi, nonché a crediti relativi ai premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Inoltre, nella determinazione dei debiti superiori a 100.000 euro non rilevano le rateazioni in corso e qualora il contribuente provveda a pagare, anche parzialmente, riducendo il debito ad importo inferiore a 100.000 euro, gli effetti della previsione normativa cessano di applicarsi.

Con il richiamo all’art. 31 del decreto legge 78/2010, si prevede che, in determinate situazioni, il divieto di compensazione sia applicabile sin dalla presenza di debiti erariali superiori a 1.500 euro.

Conclusioni sul decreto salva conti

Le modifiche introdotte dal “decreto salva conti” rappresentano un tentativo di migliorare la trasparenza e l’efficacia delle politiche fiscali legate alla ristrutturazione degli immobili. È fondamentale che i proprietari siano consapevoli di queste nuove regole per evitare sanzioni e massimizzare i benefici derivanti dalle agevolazioni fiscali.

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Il canone concordato

Il contratto di locazione a canone concordato è un tipo di contratto di locazione regolamentato dalla legge n.431/98. Tale contratto prevede un canone di affitto inferiore rispetto a quello di mercato. Esso viene stabilito dalle associazioni di proprietari e inquilini del luogo in cui si trova l’immobile stesso, sulla base di un accordo che definisce il canone massimo applicabile in base alla zona in cui si trova l’immobile e alle sue caratteristiche.

Questo tipo di contratto consente sia all’inquilino che al proprietario dell’immobile di accedere ad una serie di importanti agevolazioni fiscali. Diventa pertanto utile capire quando si utilizza, come funziona e quali sono i requisiti da rispettare.

Agevolazioni fiscali per i proprietari

Per i proprietari, tale contratto è conveniente per i vantaggi che derivano dalle detrazioni fiscali. Vediamoli di seguito:

  • riduzione aliquota cedolare secca: ridotta dal 21% al 10%;
  • riduzione della base imponibile Irpef: il canone di locazione ridotto dalla percentuale forfettaria del 5% e rapportato alla percentuale di possesso, viene ulteriormente ridotto del 30%;
  • riduzione della base imponibile per l’imposta di registro: è prevista una riduzione del 30% della base imponibile sulla quale calcolare l’imposta di registro;
  • detrazioni comunali: i Comuni hanno facoltà di stabilire aliquote più basse per l’Imu. Il Comune di Milano prevede un’aliquota agevolata all’0,73%.

Agevolazioni fiscali per l’inquilino

Per l’inquilino, invece, il contratto a canone concordato conviene perché si risparmia sull’affitto, pagando appunto un canone inferiore a quello di mercato, ma anche per le agevolazioni Irpef previste.

Per poter ottenere tali agevolazioni, l’inquilino deve:

  • essere intestatario del contratto di locazione a canone concordato;
  • avere come sua abitazione principale l’immobile oggetto del contratto.

Come si calcola il canone concordato?

Calcolo canone concordato

Come specificato precedentemente, il proprietario dell’immobile non potrà scegliere liberamente il prezzo dell’affitto, ma dovrà fissarlo tenendo in considerazione un range specifico, fissato dall’accordo territoriale di riferimento per il proprio Comune.

Il calcolo effettuato, che dovrà tenere in considerazione il totale della superficie calpestabile dell’immobile, così come altri elementi accessori (ad esempio dotazione di arredi, presenza di balcone, ascensore, etc.) dovrà essere confermato da una delle associazioni rappresentative di categoria.

Fonte: Milano Abitare

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Certificato APE per l’affitto: quando è richiesto

Il certificato APE, l’Attestato di Prestazione Energetica, è un documento che analizza e descrive le caratteristiche energetiche degli edifici. Si tratta di un documento tecnico ufficiale che il proprietario dell’immobile è tenuto a possedere. Tale documento deve essere utilizzato in tutte le situazioni in cui è richiesto per Legge, come in caso di affitto dell’immobile.

Se il proprietario di un immobile decide di affittare casa, ma non fornisce l’attestato di prestazione energetica, anche solo in copia, il proprietario può incorrere in sanzioni amministrative.

In questo contesto, la certificazione APE è responsabilità del proprietario dell’immobile. Egli è obbligato a presentare il documento durante la stipula del contratto, dichiarando espressamente di aver fornito al nuovo affittuario tutte le informazioni sulle caratteristiche energetiche dell’immobile oggetto del contratto.

L’APE fornisce informazioni sull’efficienza energetica dell’abitazionecatalogandola in una specifica classe energetica. Si tratta di informazioni utili per i locatari, i quali possono avere una stima dei consumi energetici dell’immobile.

Quanto costa?

Il certificato APE, essendo un atto ufficiale, non cambia se si tratta di affitto o di compravendita, per cui, per la sua redazione richiede lo stesso tempo, le stesse modalità di ottenimento e gli stessi costi.

Esiste quindi un solo Attestato di Prestazione Energetica dell’immobile, indipendentemente dall’uso che ne verrà fatto. Il suo costo dipende dalla Regione di appartenenza e dalla localizzazione dell’immobile stesso, dalle dimensioni e caratteristiche dell’immobile.

Quant’è la validità del certificato APE?

Il certificato APE ha validità di 10 anni, se non vengono fatti interventi di ristrutturazione e non vengono sostituiti gli impianti di riscaldamento/climatizzazione.

Una volta redatto il certificato APE, il documento viene registrato nella Regione di appartenenza e durante il periodo di validità può essere utilizzato più volte nei contratti di affitto.

Non bisogna, quindi, rifare il certificato per ogni contratto di locazione nel periodo di validità dello stesso.

Chi paga la certificazione energetica APE e come si ottiene?

La certificazione energetica APE è a carico del proprietario dell’immobile a cui spetta anche il pagamento di tutti i costi associati.

Per ottenere tale certificazione, occorre fare richiesta a un professionista certificatore. La richiesta può essere effettuata dal proprietario o da chiunque su autorizzazione del proprietario dell’immobile.

Contratti di affitto a non reisdenti
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Contratti d’affitto a non residenti, registrabili senza codice fiscale

La recente risoluzione n. 5/E del 14 febbraio 2023, emanata dall’Agenzia delle Entrate, getta luce sulle procedure da seguire per la registrazione dei contratti di locazione che coinvolgono locatori non residenti privi di codice fiscale italiano. Questa risoluzione fornisce chiare indicazioni su come procedere con i necessari adempimenti fiscali e il relativo pagamento delle imposte.

Uno dei punti salienti di questa risoluzione è la precisazione riguardante l’obbligo di indicare il codice fiscale del locatario. Secondo quanto stabilito nell’articolo 6 del Dpr n. 605/1973, tale obbligo si considera soddisfatto attraverso la fornitura di informazioni alternative:

  • per le persone fisiche (soggetti non residenti): il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita;
  • per le entità giuridiche: la denominazione e la sede legale.

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la registrazione dei contratti di locazione può essere richiesta presso qualsiasi ufficio territoriale utilizzando il modello 69 anziché il tradizionale Rli. Questo nuovo modello consente anche al locatore di scegliere il regime fiscale della cedolare secca, offrendo una maggiore flessibilità nella gestione dei propri affitti.

Per quanto riguarda il pagamento delle imposte, sia per la registrazione iniziale che per le annualità successive, è richiesto l’utilizzo del modello F24, utilizzando i codici tributo stabiliti dalla risoluzione n. 14/2014. È inoltre possibile optare per il pagamento tramite addebito sul proprio conto bancario o postale, richiedendo il servizio presso l’ufficio competente.

Fonte: Fisco Oggi

Bonus prima casa under 36
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Bonus prima casa Under 36 – 2023

La legge di bilancio 2023 ha prorogato al 31 dicembre le misure previste per favorire l’autonomia abitativa dei giovani fino a 35 anni di età e con un Isee inferiore ai 40mila euro annui (bonus prima casa under 36).

Chi acquista la prima casa con atto stipulato tra il 26 maggio 2021 e il 31 dicembre 2023, ha diritto a notevoli vantaggi fiscali. La legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022, art. 1, comma 74), infatti, ha rinnovato per un altro anno le agevolazioni “prima casa under 36”.

In cosa consistono? In caso di:

  • acquisto non soggetto a Iva: sono azzerate le imposte di registro e ipocatastali;
  • compravendita soggetta a Iva: oltre a non pagare le imposte di registro e ipocatastali, è concesso un credito di imposta di importo pari all’Iva versata al venditore per l’acquisto, che può essere utilizzato in diversi modi. Può essere utilizzato per pagare le imposte sulle successioni e donazioni dovute su atti e denunce presentati dopo la data di acquisto del credito, per compensare le somme dovute tramite modello F24, in cui va indicato il codice tributo “6928”, per pagare l’Irpef dovuta in base alla dichiarazione da presentare dopo la data dell’acquisto agevolato.

E gli over 36?

Per chi ha superato i 36 anni restano comunque in essere le agevolazioni prima casa. Chi acquista da un privato o da un’impresa che vende in esenzione Iva, versa l’imposta di registro nella misura del 2%, anziché del 9%, sul valore catastale dell’immobile, e paga le imposte ipocatastali nella misura fissa di 50 euro ognuna. Chi, invece, acquista la prima casa da un’impresa soggetta a Iva, deve pagare l’Iva con aliquota al 4% anziché al 10%, e pagare le imposte di registro e ipocatastali nella misura di 200 euro ciascuna.

Per beneficiare delle agevolazioni fiscali, però, bisogna rispettare determinati requisiti:

  • avere la residenza nel Comune dove si trova l’immobile o trasferirla entro 18 mesi dall’acquisto;
  • non essere titolare, nemmeno con il coniuge, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di un’altra casa nel territorio del Comune in cui si trova l’immobile da acquistare;
  • dichiarare, all’atto di acquisto, di non possedere un altro immobile, in tutto il territorio nazionale, acquistato con l’agevolazione prima casa o, in caso contrario, venderlo entro un anno dal nuovo acquisto agevolato.

Si ricorda anche che gli immobili ammessi ai benefici sono quelli che rientrano nelle categorie catastali A/2 (unità civili), A/3 (economiche), A/4 (popolari), A/5 (ultra popolari), A/6 (rurali), A/7 (villini). Sono esclusi gli immobili che appartengono alle categorie catastali A/1 (dimore signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminente pregio storico e artistico).

Fonte: fiscooggi.it